Quelli che operano egoisticamente per dei risultati sono dei miserabili. – Sri Krishna
Credo che la giustizia produca giustizia e l’ingiustizia, ingiustizia. – R. W. Emerson
Le persone costruiscono la strada camminando. – Antonio Machado
Ben tre citazioni mi ci vogliono, stavolta, di autori che parlano molto meglio di me, per introdurre quanto segue.
“Erase una vez” il Biologico
La storia della nascita del “Biologico” moderno è raccontata in diversi libri guida come Il dilemma dell’onnivoro, ecc. (assemblatevi anche voi la vostra biblioteca domestica).
Partendo dalle fonti è bene sapere che il Bio di oggi è figlio di una ribellione culturale che si oppose al riduzionismo di J. von Liebig, autore di libri che gettarono le basi dell’agricoltura industriale moderna intorno al 1840-50. Nel secolo successivo la Rivoluzione Verde (pseudonimo per indicare il sistema monocoltura-fertilizzanti-pesticidi inaugurato negli USA a partire dagli anni ’40) sposò del tutto il riduzionismo di Liebig come una naturale prosecuzione della logica dualistica Uomo-natura, Bene-male, Giusto-sbagliato dell’uomo occidentale moderno, e che aveva appena dato il meglio di se nella Seconda Guerra Mondiale. Insomma a farla breve si produsse all’epoca una grande frittata di cervelli dei maschi dominanti d’Occidente.
Al riduzionismo e alla sconnessione, proposta da Liebig, come chiavi per comprendere e dominare i processi biochimici (compresa la separazione dei nutrienti per le piante) più di ogni altro autore contemporaneo Albert Howard oppose l’idea di interconnessione.
Esempio – Noi in questo momento siamo in internet (interconnessi) e funzioniamo molto meglio così, come civiltà, usando l’interconnessione: ci informiamo di più e meglio, agiamo in peer-to-peer. Democrazia diretta. Intelligenza collettiva, ecc. ecc. Ciò è un esempio di come l’interconnessione è per noi una cosa seria: la chiave della vita, per tutti i viventi, come aveva intuito Howard.
Un’altra cosa evidente è che funzionando interconnessi, creiamo realtà molto più complesse di quelle che vengono create da persone disconnesse (si pensi ad esempio alle gerarchie militari o clericali o aziendali, prototipi di società nella società, e alla loro ridicola semplificazione organizzativa: idea (di uno solo)-comando-esecuzione del comando). Le società complesse invece si auto-organizzano continuamente con il feedback (ecco come diventano così complesse e resilienti); Le società gerarchiche non possono farlo: ai livelli inferiori non è dato dire la propria.
Ebbene, Liebig, proponendo il metodo riduzionista (mannaggia a Cartesio!) come approccio per lo studio dei processi biologici, cioè separando gli elementi e i processi, e studiando tali processi nel mondo vegetale, giunse ad un semplificativo schema di funzionamento della pianta: ha bisogno, diceva, per crescere, di acqua, luce e tre elementi, azoto, fosforo e potassio.
E’ un’infelice conseguenza degli approcci semplicistici quella di arrivare a conclusioni semplicistiche.
Detto questo, Howard è ben considerato il primo che in Occidente, in epoca moderna e in quel contesto (al momento propizio, direi) gettò le basi di quello che poi si strutturò come metodo agricolo Biologico. E’ facile accorgersi che non è un metodo (come l’ottusità della legislazione ci porterebbe semplicisticamente condurre a pensare) ma un approcio alla vita, al rapporto con tutti gli altri viventi e, in ultima analisi, alle piante ed animali della nostra fattoria, che poi si regolamenta, purtroppo, con una mera serie di leggi e contratti.
La storia continua. Si dovrebbe raccontare che, entrati nel secolo 1900, ci furono poi altre figure importanti che proseguirono l’eredità culturale di Howard e andarono avanti nello studio della natura vista come un tutt’uno con l’uomo, nonché della fattoria vista come organismo vivente, ma io qui volevo focalizzarmi sugli aspetti sociali del biologico.
Il movimento biologico annoverò fin da subito una schiera di agricoltori che intendevano non piegarsi al modello economico dominante, che volevano condurre la fattoria nel rispetto della natura, cercando di preservare intatti i cicli biochimici e le interconnessioni tra terreno, vegetali e animali. Nel frattempo, dal lato clienti, la consapevolezza portò in USA alla nascita di progetti popolari in cui le persone partecipavano direttamente al finanziamento di tali realtà agricole di controtendenza (andare contro l’agroindustria e il Governo significava avere vita non facile, economicamente). Nacquero così le CSA (Community Supported Agricolture), che erano in pratica filiere di mercato chiuse su se stesse: i cittadini finanziavano le fattorie presso cui veniva coltivato il cibo che poi essi stessi mangiavano. Questo per poter avere nel piatto, ovviamente, cibo bio. Il tutto poteva prevedere in genere anche una sorta di condizione promiscua in cui si poteva pagare in natura, cioè supportando lavorativamente i produttori.
Mercato vs Comunità
La CSA è molto più lungimirante dei GAS (Gruppi di Acquisto Solidali) italiani o delle cooperative di soli acquirenti come ConProBio (Svizzera) o CortoCircuito (Italia): nel restare produttori indipendenti infatti si ha l’indubbio vantaggio di poter produrre come si vuole cosa si vuole (basta farlo di nascosto). Per contro non si ha vita facile, nel Mercato, stretti tra GDO (Grande Distribuzione) e fornitori, che insieme agiscono simultaneamente con effetto incudine-martello riducendo gli utili al minimo per l’agricoltore. Inoltre nel GAS non si supera l’eterna dualità, l’eterna contraddizione concorrenziale tra compratore e venditore: il primo vuole comprare sempre la merce al prezzo più basso possibile, il secondo venderla al prezzo più alto. Si rimane, quindi, nemici sotto lo stesso tetto, in un rapporto di dipendenza-conflitto mai risolto, che è l‘essenza del Mercato [2]. Nella CSA invece si supera questa dicotomia e si pratica la Common (la Comunità)[1]. Gli agricoltori faranno in tal caso davvero parte della famiglia, condivideranno le scelte produttive e i metodi agricoli con i futuri loro acquirenti. Ci sarà insomma più trasparenza.
E veniamo finalmente al motivo del post.
L’unico esempio che conosco in Italia di CSA “all’americana” è Arvaia, il cui blog seguo da tempo. E’ una CSA di Bologna, che in questi giorni ha traguardato un obiettivo organizzativo non da poco, che è appunto quello del finanziamento integrale da parte dei soci-consumatori.
E’ possibile cercare di farsi un’idea del progetto sul loro sito e, se state in zona, partecipare.
In bocca al lupo ragazzi!
Riferimenti
[1] Per saperne di più sulle Commons e altre forme non competitive:
Il valore delle cose, Raj Patel
[2] Sul tema GDO, fornitori e prezzi di mercato:
La fine del cibo, Roberts
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