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Archive for settembre 2011

Guardate la nostra terra, è meravigliosa.

Immagine di Martin

…Serve un bel respiro prima di cominciare…

§ Acqua passata?

“Nessun sottosistema di un sistema finito può crescere all’infinito: è una legge fisica.”

L’annosa questione dei limiti della crescita è stata risolta con l’accettazione della verità di cui sopra.

E’ stato poi elaborato un brillante progetto sociale con cui tenerci a galla nella fase di passaggio dalla vecchia maniera di commerciare, sprecare e speculare (business as usual) verso il nuovo paradigma economico. Il progetto si chiama Transizione ed è tutt’ora in corso.. Ma le Nazioni cosa fanno nel frattempo?

Nell’ottobre del 2008, in piena crisi, il sindaco di Londra, Boris Johnson, inaugurando un enorme centro commerciale, invitava la gente ad uscire ed andare a spendere. Del resto lo stesso Presidente Bush all’indomani dell’ 11 settembre suggeriva agli americani di “uscire a fare spese”. E lo stesso suggerimento era solito darlo ancora nel Natale di 2 anni fa il presidente del consiglio come rimedio alla crisi economica: “Italiani, spendete e non risparmiate!”

Cosa aggiungere a questo sopra? Si commenta da solo.

L’economia mondiale indottrina a oltranza generazioni di colletti bianchi, di politici e finanzieri non potendo e non volendo fermarsi. Evidentemente tra noi in questa società parliamo lingue molto diverse.

§ Vedere per credere

Il modello matematico elaborato dai Meadows predice bene, seppur grossolanamente, quello che sta succedendo.

Stiamo vivendo una fase di veloce esaurimento delle risorse (curva rossa in copertina), a causa del loro eccessivo sfruttamento. Quello che ne consegue è una breve parentesi di massimo splendore della tecnologia (curva gialla in copertina): avendo noi a disposizione il maggiore flusso di materie prime e combustibili della storia dell’umanità, la popolazione che ne può beneficiare cresce e produce manufatti tecnicamente sofisticati, vive nell’opulenza, seppur sulla base di un radicato sistema economico iniquo e coercitivo, basato sulla logica della proprietà, del profitto e del potere. Il sistema economico ha anche preso una piega suicida acquisendo la dottrina del consumo ciclico, della obsolescenza pianificata e della moneta debitoria come nucleo dei suoi meccanismi. Un sistema così malato non potrebbe mai sopravvivere a lungo, è fatto per esplodere.

Il massimo di popolazione, reddito, tecnologia, cibo, produzione eccetera cade proprio nel punto di mezzo dell’esaurimento delle risorse (punto di massimo relativo della curva gialla in copertina). Passato il punto di mezzo delle riserve e dei depositi, l’estrazione di energia a basso costo rallenta, e porta ad uno squilibrio tra domanda e offerta che fa collassare il sistema economico. L’estrazione delle risorse rallenta da lì in poi progressivamente. Decresce per la prima volta anche il flusso di materie prime e risorse non rinnovabili (terreno coltivabile, banchi ittici, biodiversità vegetale, risorse forestali).

Nessun sistema economico umano può esserci al di fuori del sistema biologico entro cui vive l’uomo.

Per la prima volta nella storia, raggiunto il punto di picco, il limite alla crescita del sistema economico è dato dal processo di sgonfiamento del sistema biologico. Sta letteralmente finendo l’aria nella navicella.. non perché respiriamo troppo, ma perché la navicella si sta rimpicciolendo.

La natura sta scomparendo dalla Terra.

Il processo è inarrestabile una volta superato il punto di non ritorno climatico.

Il punto di non-ritorno climatico, a detta dei climatologi, dei meteorologi e della comunità scientifica di tutto il mondo, è demarcato dalla linea delle 300-350 parti per milione (abbreviato ppm) di anidride carbonica in atmosfera. Questa è un limite dettato dal buon senso: in nessuna epoca della storia geologica in cui è nata e cresciuta la specie umana sulla Terra la concentrazione di anidride carbonica aveva mai superato tale valore.

E’ dagli anni ottanta che abbiamo superato tale livello. Da quest’anno siamo oltre le 390 ppm.

Un altro indicatore è l’impronta ecologica mondiale, quanto velocemente distruggiamo le risorse che la natura deve ripristinare. Incisiva è l’osservazione che l’uomo non è capace di produrre il proprio ambiente vitale, sa solo distruggerlo. Ad esempio non sa produrre frutta, la frutta sboccia ogni anno sugli alberi grazie agli insetti impollinatori, non certo grazie alla “tecnologia”. L’uomo non sa produrre acqua potabile, se non a costo di dispendiosi sistemi energibori che producono maggiore CO2. Non sa nemmeno produrre ossigeno, da cui dipende per respirare. Tutte queste cose le fa per lui la biosfera. La biosfera ha risorse che sono capaci di ripristinarsi da sole, come le foreste, ma a patto che sia inferiore la velocità dell’uomo di distruggerle. Quando le due velocità si equivalgono, si dice che l’impronta ecologica è uguale a uno.

IE = 1

Tuttavia per nostra sfortuna non siamo stati attenti alla nostra impronta ecologica. Dal 1984 la nostra impronta è maggiore di quella terrestre, ed oggi siamo arrivati ad impronta ecologica di circa il 150%. Distruggiamo la Terra piu velocemente di quanto le sue risorse rinnovabili si riformano.

Tuttavia questo conteggio è molto ottimistico, perché non tiene conto della velocità di distruzione delle risorse non rinnovabili, come uranio, petrolio, gas naturale, fosfati, che non sono tenuti in conto nel calcolo dell’impronta, di cui non sappiamo fare a meno in questa nostra economia e per i quali i tempi di ripristino non sono calcolabili.

§ Le idee che sono in giro

Penso che in questo periodo, in cui il disfacimento del sistema si manifesta progressivamente sempre più visibile (e tangibile), l’idea di essere tra coloro che preparano strategie per il “politicamente inevitabile” possa essere di grande motivazione per tutti. Per chi sta sperimentando la Transizione, ma più in generale per tutti quelli che sono alla ricerca di modelli differenti (come i Gas) e che fanno “circolare idee” che potranno essere raccolte al momento opportuno da tutti gli altri.

Tim Jackson riflette abbastanza seriamente sul senso della crisi che viviamo oggi.

Per chi è angloabile e ha un po’ di tempo da perdere, come me stasera davanti il pc, consiglio un discorso in più parti di Rob Hopkins (Rob Hopkins Off Grid 2011) sul percorso che Transition sta facendo e sui punti cardini del processo culturale: localizzazione, decrescita, autosufficienza, cambiamento interiore.

Troppo povero questo paragrafo? Poche idee?

Leggerete tanto su quello che sto tentando di fare io in questi mesi. A chi mi vuole bene consiglio la bibliografia che fin’ora ho elencato nella pagina del blog, tutta, e magari da leggere di nuovo il libro di transizione di Luca Mercalli, vedi link.

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Siamo stati impegnati in questi mesi io e mia moglie alla ricerca di casa a Firenze. Per ora ci prendiamo una pausa, siamo stanchi di vederci proporre appartamenti di 38 metri quadri a 850 euro al mese. Non nessuna voglia di pensarci questa sera.

Ho navigato per 15 minuti. Mi dovevo ragguagliare sulle novità. Facile seguire il filo di arianna: tra amici ci si scambia i link youtube dove trovare l’ultima puntata di Gad Lerner su La 7. Parlano del caso dell’Islanda e della prossima bancarotta dell’Italia (ora che si avvicina, è diventato tabù pronunciarla la bancarotta, la eufemizzano allora con un termine franco-anglosassone :)

Sperano di evitarla facendo come gli islandesi. Ma non sanno di essere su un altro binario culturale.

Ma le persone della rete dell’Islanda non sanno più che farsene, ne hanno già parlato e straparlato. E hanno fatto la radiografia della situazione e ne hanno sviscerato i corsi e ricorsi storici e le differenze strutturali con l’economia nostrana. Quale rivoluzione si pretende data la mancanza della massa pensante, della conoscenza basilare dei fatti, dato l’isolamento televisivo e concorrenzialista in cui vive il manager precario milanese, lo stagista napoletano, l’insegnante laureata toscana?

Siamo noi il nostro piu’ grande problema. Impegnati nella forsennata ricerca del posto, nella spesa del lunedì, nel colloquio del giovedì…e invece un altra società cova soluzioni e cerca di trovare ossigeno un po’ dovunque, a macchia di leopardo, nei quartieri e nelle province di mezz’Italia. Sono i Gas, i progetti di Transizione, gli ecovillaggi, i piccoli produttori Bio, quelli senza certificazione perché non hanno ceduto alle sevizie dei consorzi o della grande distribuzione. Loro sono il puzzle che verrebbe fuori allo sbriciolarsi del mercato speculativo, se solo smettessimo di tenerlo in vita con flebo di lavoro in ufficio e iniezioni di debito pubblico.

Tuttavia la massa rema ancora troppo forte, e così queste realtà vengono oscurate dalla nebbia del megamarket planetario del “produci, consuma, crepa!”.

Fatemi trovare una strada di uscita e vi mando tutti a quel paese, sentivo dire da un tizio oggi.

Il contesto era un po’ diverso, ma cade bene qui.

 

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La mia simbiosi con lo yogurt mi è servita molto. Voglio presentarvi la mia conoscenza in forma di racconto, per non decontestualizzare quello che so e lasciarlo nell’ambito della mia sola ed esclusiva esperienza personale.

§ Lo yogurt di Pallante

Per convincermi a fare lo yogurt in casa bastò la lettura del primo capitolo del libro di Maurizio Pallante, La Decrescita Felice (parzialmente riportato nel manifesto, con la parte riguardante lo yogurt). In internet era facile reperire svariate ricette ma pressappoco tutte somigilanti. Che poi scoprii avere dei comuni difetti o informazioni fuorvianti.

§ Il coccio di Silvia

Mia moglie aveva in serbo per me una sorpresa: conservava l’attrezzatura per fare lo yogurt da anni, da quando da giovane lo aveva cominciato a fare seguendo le indicazioni dell’insegnante del liceo. L’attrezzatura magica in questione consisteva in una brocca di coccio con il collo stretto e una borsa termica. Ora non avevo più scuse, dovevo provare.

§ Il libro di Sandor

Il primo yogurt doveva aspettare ancora un altro evento della mia vita che sarebbe diventato un pezzo chiave del puzzle. A metà strada tra la rinuncia e la fuga, al momento propizio – come dice Ray Anderson – presi un mese non pagato di permesso per andare a seguire un corso di permacultura e, tra le varie lezioni, era prevista quella sulle fermentazioni inclusa la preparazione dello yogurt. Mi si stava aprendo un mondo.

La bibliografica del corso comprendeva un libro di un autore americano molto pratico, Wild Fermentation, che acquistai di corsa appena tornato e sciroppai in pochi giorni. Su questo libro trovai una descrizione molto accurata riguardo la preparazione dello yogurt.. Quante informazioni sbagliate avevo reperito fino a quel momento su internet e come mi avevano portato fuori strada!

Decisi di fare ordine studiando da quel momento in poi le cose con metodo. La prima volta che feci lo yogurt non la dimenticherò mai. Venne benissimo e da quel momento divenne la mia occupazione preferita in casa. Due volte la settimana.

§ LA PRIMA RICETTA

1. Prendere un litro di latte di prova (iniziate con l’intero a lunga conservazione UHT, poi spiegheremo perché).

2. Scaldarlo a fuoco lento fino quasi ad ebollizione (mescolando sul fondo per non farlo attaccare), dopo un po’ spegnere.

3. Aspettare che si raffreddi fino a circa 40° …

DOMANDA, come misurare la temperatura senza avere un termometro da cucina? … Boh!

Io faccio così: immergo un dito (pulito!) e lo tengo immerso per 10 secondi, se non sento scottare eccessivamente è la temperatura giusta.

4. Metteteci 2 cucchiaini di yogurt attivo (la confezione deve riportare la dicitura “contiene fermenti vivi“) e chiudete il tutto nella borsa termica, avendo cura di mantenere la temperatura più a lungo possibile. Per ottenere questo, nella borsa termica metteteci, oltre alla brocca, un vasetto di acqua bollente con il coperchio (i vasetti delle conserve vanno benissimo) e riempite lo spazio vuoto con degli stracci.

ALTRA DOMANDA: ma perché mettere cosi poca quantità di starter? Non vale la regola: “più ce n’è meglio è” ?

Risposta: No. I batteri non devono affollarsi nel latte, è invece importante che gli si dia spazio a sufficienza per nutrirsi tutti. Leggete il libro di Sandor (o fate ricerche per vostro conto) se volete approfondire.

5. Tenete il tutto in un angolo indisturbato e caldo della casa sotto uno strato di coperte o indumenti di lana, per almeno 8 ore. Dopodiché aprite tutto e provate.

Se lo yogurt esce, metterelo in frigo dopo averlo travasato in un barattolo di vetro.

§ Il latte crudo

Feci lo yogurt in casa con il metodo sopra descritto per un anno, usando a volte latte fresco, altre volte latte UHT. Quando usavo quest’ultimo, il risultato sembrava migliore, ma a quel tempo non avrei saputo spiegare perché. Ero in ogni caso orgoglioso di aver portato un po’ di permacultura domestica in casa, e di produrre un alimento ottimo a costo zero.

Nella primavera di quest’anno (2011) abbiamo traslocato a Firenze e appena ci siamo sistemati nella nuova dimora il primo pensiero è stato riprendere a fare lo yogurt, insieme alle altre fermentazioni domestiche: pane, pasta, pizza, crauti, melanzane.

Abbiamo trovato chi ci procura il latte crudo di capra e appena acquistato abbiamo rifatto lo yogurt con il metodo di sempre. Sorpresa. Non è uscito. Quello che ne è venuto fuori è stata piuttosto una mezza cagliata acida, vagamente somigliante al latte scaduto. Mi sono domandato se lo starter fosse “impotente”, cioè che quello acquistato al supermercato di ignota origine non avesse colture batteriche attive. fin quando sono capitato su questo articolo sul blog di un team di cultori del settore alimentare:

Se usi latte sterilizzato (UHT), puoi non bollire il latte, perché questo prodotto è già sterile, privo di batteri, ma le proteine non sono denaturate a dovere, dunque non otterrai il massimo in termini di densità e cremosità.
Usando il latte fresco pastorizzato, sei a rischio di fallimento perché questo prodotto contiene batteri che possono andare in competizione con quelli dello starter rallentandone la crescita.
Se usi latte crudo, il fallimento è garantito, perché questo prodotto contiene una elevata carica batterica naturale, che va decisamente in competizione con i batteri dello yogurt impedendone la moltiplicazione, quindi ottieni un latte acidificato le cui caratteristiche organolettiche dipendono dai batteri di partenza: praticamente produci un formaggio a cagliata acida, come i caprini freschi, probabilmente con un aroma tipico del latte scaduto (quindi non un gran che). Il prodotto in teoria è sicuro, perché nel latte crudo che acquisti, per legge, non possono esserci batteri patogeni, ma di sicuro non è yogurt!

[www.cibo360.it]

In sintesi, lo yogurt deve subire due processi per formarsi correttamente:

  • Sterilizzazione (uccide le forme batteriche antagoniste di Lactobacilli e Streptococchi Termofili)
  • Denaturazione delle proteine (per renderle più assimilabili dai batteri lattici)

Entrambi i trattamenti di cui sopra sono ottenuti con il calore, che deve essere protratto abbastanza a lungo.

§ Il pezzo mancante

Quindi il punto 2 della ricetta va cosi aggiornato:

2. Scaldarlo a fuoco lento fino ad ebollizione (mescolando sul fondo per non farlo attaccare). Mantenerlo ad alta temperatura per 30 minuti, continuando a mescolare e levando di quando in quando la panna che si forma in superficie. Spegnere e lasciar raffreddare.

E’ tutto :)

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