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Archive for giugno 2011

Le generazioni future non ci perdoneranno i danni che stiamo loro facendo.

[Lorenzo Tomatis]

Non si può non fare informazione riguardo l’incenerimento, è una priorità di ciascuno, come una chiamata alla mobilitazione nazionale:

Ho esempi in famiglia mia e ovunque intorno a me di disinformazione sui danni dell’incenerimento. I cittadini vengono tenuti buoni con convincenti false notizie, il bombardamento mediatico concorde con le lobby non risparmia nessuna rete televisiva. Gli inceneritori sono un affare per chi li costruisce, per chi li gestisce, per chi li deve dismettere. Sono lavoro (poco). Sono PIL. Il PIL è spreco, consumo e costi, ricordiamolo.

Più PIL crea più dipendenza dai soldi. Più soldi aumentano il PIL.

Una società sostenibile e in armonia con la Natura ha PIL uguale a zero, ricordiamolo.

Il ciclo d’affari dell’incenerimento parte dagli industriali e si aggancia al territorio tramite i politici:

Lobby -> politico -> legge territoriale -> appalto.

La beffa è che le imprese che costruiscono gli inceneritori ricevono anche incentivi per farlo. Spesso i politici e gli uomini di lobby sono la stessa persona. In questo momento storico l’Italia ne è il triste primato in Europa. Gli stessi cittadini sono azionisti delle Spa che costruiscono gli inceneritori. Finanziamo il cancro dei nostri figli per un interesse a breve periodo sulle azioni quotate in borsa. La domanda, la cui risposta ormai è solo retorica, è: Che fine farà una società che basa il guadagno sulla malattia e sul sopruso?

Beh, vorrei rispondere: Mi oppongo! Il futuro che sogno è il mondo che voglio per me e i miei figli. Nonostante tutto, credo nell’effetto dirompente delle azioni positive e nel coinvolgimento di altre persone desiderose di una realtà migliore.

Gli inceneritori sono impianti ad enorme impatto, non sono sostenibili, sono la maniera meno efficiente di ricavare energia dai rifiuti.

Costruire inceneritori significa inevitabilmente limitare e boicottare la raccolta differenziata (soprattutto la “porta a porta”, che è la più efficace). Vedere il caso di Brescia, dove la raccolta differenziata di carta e plastica stenta a partire.. Chissà perché?!

Non chiedetevi ora: cosa possiamo fare in alternativa? … Perché le soluzioni già ci sono.

Penso che a molte persone manca poco così per cominciare a fare qualcosa in questa direzione: basta solo poco così di informazioni e qualche idea e contatto con cui cominciare ad agire. Perché noi dobbiamo diventare la soluzione ai problemi, piuttosto che invocarla, piuttosto che delegarla con il voto. Perché l’ora è tarda.. E chi ha aspettative aspetta. E rischia di farlo a tempo indeterminato.

INFORMARSI

Partiamo dalle parole giuste.

Incenerimento: processo di combustione ad alta temperatura.

Il termine termovalorizzatore, seppur di uso comune, è criticato in quanto sarebbe fuorviante. Infatti, secondo le più moderne teorie sulla corretta gestione dei rifiuti gli unici modi per “valorizzare” un rifiuto sono prima di tutto il riuso e poi il riciclo.

[Wiki]

I termini termovalorizzatore e termoutilizzatore sono dunque eufemistici, per non dire altro.

il ‘termovalorizzatore’ non esiste. A termini di legge, evitando parole fuorvianti o fantasiose, questi impianti si chiamano “inceneritore” (anche detto Azienda insalubre di classe I […]

Ilcambiamento.it

 

 

– Patrizia Gentilini è un faro oggi in Italia nella campagna di informazione sui risultati oncologici del danno da incenerimento. A questo link c’è, ad esempio, lo stato di contaminazione del latte materno in mamme di Brescia e Montale (PT).

– Menzogne certificate. A questi link 1 e link 2 alcuni studi sugli inceneritori falsificati perché non compaiano i dati sull’incidenza degli inceneritori sui tumori (alla mammella, stomaco, colon, fegato, polmoni, tra quelli monitorati).

– Patrizia Gentilini intervistata ancora a questo link.

Maurizio Pallante fa una lezione breve e chiara sui rifiuti, gli inceneritori e la raccolta differenziata.

Paul Connett sul processo di incenerimento e gestione dei rifiuti.

– Il gioco di prestigio degli inceneritori, video di Montanari.

– Ma cosa sono le nanoparticelle prodotte dagli inceneritori? Stefano Montanari ha un sito medico che lo spiega (a questo link). Esistono molti video divulgativi su youtube, basta fare una ricerca con il suo nome e cognome.

– Le nanoparticelle passano da madre a figlio: video.

– L’incenerimento a più di 900 gradi produce nanoparticelle, a meno di 900 gradi produce diossine. Le diossine sono le sostanze più tossiche mai conosciute e non esistono in Natura. L’uomo invece la produce in quantità industriali… E chissà perché è successo che i dati sulla quantità di diossina misurata dagli inceneritori sia stata falsificata (vedi il caso di Lucca).

– In tutto questo, c’è un articolo della Costituzione italiana, il numero 32, che non viene rispettato.

– Una mappa (parziale)  degli inceneritori in Italia e un elenco aggiornato su Wiki.

ENTRARE IN AZIONE

Le politiche comunali di raccolta differenziata porta a porta e riciclaggio sono una prima soluzione alla politica dell’incenerimento: ridurre i rifiuti. Farli ritornare nel ciclo economico tramite il riciclo, il recupero, il riuso. Farli diventare un guadagno con il compostaggio.

Agli amministratori: Rifiuti Zero.

Ma non basta: è possibile ridurre i rifiuti anche senza grossi investimenti comunali, passare la palla ai cittadini.

Il vero progresso consiste nello sviluppare una transizione a livello delle persone, dal basso. Perché è il cambio di stile di vita ciò che permette di mettere in atto la vera soluzione al problema dei rifiuti. Sto parlando di soluzioni piccole, casalinge, virtuose.

Per entrare in azione è mandatorio non commettere i soliti errori: la società individualistica di cui assorbiamo continuamente la cultura porta in alto mare. Perché la battaglia solitaria di pochi Don Chisciotte dura poco. Le nuove forme di azione vincente sono una impegnativa ma meritevole, ricostruzione della comunità. Tutto sta ad innescare il processo di transizione, tutto sta a coinvolgere le persone che già sappiamo vivere profondamente come noi il problema e disposte a parlarne.

Cambiare è la chiave. E’ difficile ma è la chiave.

La comunità agirà in locale, organizzando nuove forme di riciclaggio e recupero dei rifiuti a basso costo. Potrà partorire le idee opportune per evitare gli sprechi. Ridurre i rifiuti alla fonte. Chiudere tutti i cicli produttivi che è possibile chiudere a livello locale.

Ad esempio: chi ha il terreno (anche un piccolo giardino) ha metà di quello che serve per compostare l’organico, lo spazio. Chi invece non ha il terreno ha metà di quello che serve per compostare l’organico: il rifiuto di partenza. Tutto sta a far incontrare le due persone. Semplice no? Questo tipo di compostaggio domestico riduce il costo dei rifiuti in partenza e procura un guadagno economico: il compost costa cinquanta centesimi a carriola, o qualcosa del genere. E se poi avete quattro metri quadri ma non avete come usare il vostro compost, fatevi un bell’orto!

Piano piano, si può svuotare il mare con un cucchiaio, provare per credere. Io lo sto già facendo. :)

 

Bibliografia e links

§ Nanodiagnostics

§ Lorenzo Tomatis

§ L’ordine dei medici FRANCESE chiede al proprio governo di non permettere più la costruzione di altri inceneritori, e individua le alternative.

 

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Il Post che segue è preso prevalentemente dal blog Selvatici , Fattoria dell’Autosufficienza e dal sito della Scuola di Agricoltura Sinergica.

Le origini: da Fukuoka alla Permacultura di Holmgren-Mollison

L’agricoltura sinergica è un metodo di coltivazione rivoluzionario elaborato a partire dagli anni ’80 dall’agricoltrice spagnola Emilia Hazelip (1938-2003), adattando al clima mediterraneo i principi dell’agricoltura naturale dell’agronomo giapponese Masanobu Fukuoka (1913-2008).

Partendo dall’osservazione di ciò che avviene spontaneamente in natura, Fukuoka estrapolò quattro principi da applicare nella cura della terra e che pongono l’agricoltura in armonia con la natura senza utilizzare tecnologie e senza produrre inquinamento:

1. Non arare – Nessuna lavorazione del suolo poiché la terra si lavora da sola attraverso la penetrazione delle radici, l’attività di microrganismi, lombrichi, insetti e piccoli animali;
2. Non concimare – Nessun concime chimico né composto preparato poiché il suolo lasciato a se stesso conserva ed aumenta la propria fertilità;
3. Non sarchiare – Nessun diserbo poiché le erbe indesiderate non vanno eliminate ma controllate; le radici non vanno eliminate dal terreno;
4. Non usare fertilizzanti né pesticidi – Nessuna dipendenza da prodotti chimici poiché la natura, se lasciata fare, è in equilibrio perfetto.

Il quinto principio, non elencato ma trattato ampiamente nei suoi libri e che egli stesso sperimenta è:

5. Non potare – Ciò è possibile solo coltivando gli alberi dal seme: è sufficiente una sola potatura per non poterne fare più a meno.

Cosa rimane da fare? Beh! Piantare, pacciamare, irrigare, osservare, raccogliere, in ogni caso un carico di lavoro ben diverso. Tali principi diedero il nome a quella che lo stesso autore definì l’agricoltura del Non Fare.


Spostiamoci ora in Australia. Negli anni settanta David Holmgren (a destra) e Bill Mollison (in bianco e nero con Fukuoka) appresero i danni causati dall’agricoltura tradizionale e grazie allo sviluppo di un approccio olistico svilupparono metodi di progettazione coerenti con il principio “vivere senza distruggere”, ovvero cercando di conciliare i bisogni umani con quelli della natura nella costruzione di insediamenti umani sostenibili.

L’agricoltura sinergica di Emilia Hazelip


Emilia scrive in un suo articolo:

L’Agricoltura Sinergica che io pratico si è sviluppata a partire dal lavoro di Fukuoka, microbiologo giapponese precursore della Permacultura, e si tratta di una agricoltura che permette al suolo di mantenersi selvaggio anche essendo coltivato. Quest’agricoltura ha una sua tecnica e non si può definire come del “Non Fare” come il metodo di Fukuoka, giacché mantiene una dinamica selvaggia in un suolo coltivato fertile e sano, il che richiede molto calcolo e organizzazione nel lavoro.

(Apri video in un’altra finestra a questo link)

Gli attuali metodi di coltivazione isolano le piante artificialmente in monocolture a filari rigorosamente distribuiti sul terreno. Le incoraggiano artificialmente nello sviluppo, scavando e modificando il terreno naturale, usando fertilizzanti per le specie produttive e diserbanti per tutte le altre ritenute inutili, usando pesticidi contro le più piccole forme di vita animale. Il risultato e’ quello di avere nei supermercati frutta e verdure grandi e colorate, ma povere di micronutrienti, oltre che parzialmente tossiche per la salute umana (veleni occasionalmente non rilevati, o non ancora proibiti, o tollerati in “basse dosi” dalla legge).

L’agricoltura tradizionale crede che se una data quantità di elementi si trova in una pianta coltivata e raccolta, la stessa quantità di elementi dovrebbe essere reintrodotta nel suolo altrimenti quest’ultimo si impoverisce. In sintesi, le piante sono accusate di sottrarre fertilità al suolo.

Ma aggiornati studi microbiologici evidenziano il fatto che le piante crescendo e vivendo creano un suolo più fertile di prima, grazie a residui organici ed attività biochimiche. Alan Smith, un microbiologo australiano, ha dimostrato come arare la terra danneggi i cicli nutritivi del suolo, e lo ha fatto rivelando uno dei cicli più importanti per la vita delle piante e del suolo: il ciclo Ossigeno-Etilene.

 

Con la rielaborazione operata da Emilia, i principi dell’Agricoltura Sinergica che potremmo infine prenderci la briga di enunciare sono:

1. Non lavorare il suolo (né arare né zappare);

2. Non compattare il suolo;

3. Non aggiungere alcun prodotto eserno (concime, fartilizzante, perticida, erbicida);

4. Piantare insieme almeno tre specie di piante.

L’orto

Gli organismi presenti in un suolo spontaneamente nell’ orto sinergico non sono visti come un pericolo ma come un vantaggio da mantenere nel modo migliore a supporto del massimo sviluppo agricolo.

Nell’ orto sinergico non si zappa né si ara il terreno, non si concima con concimi chimici né organici. Evitando lavorazioni artificiali e seminando una gran varietà di piante la fertilità del terreno aumenta anno dopo anno.

Quando ariamo la terra provochiamo sempre un ingresso nel sottosuolo di una grande quantità di ossigeno che “brucia” subito la stragrande maggioranza dei microorganismi utili.

A differenza delle usuali coltivazioni agricole industriali, in un orto sinergico le piante perenni convivono con quelle stagionali e la stessa verdura è presente contemporaneamente a diversi stadi (persino decomposta).

E’ importante dividere nettamente la zona calpestabile da quella dove invece crescono le piante, in questo modo si evita di compattare il suolo.

Le fasi di preparazione dell’orto sono:

1. Preparazione del suolo

2. Formazione dei bancali

3. Impianto di irrigazione

4. Pacciamatura

5. Tutori permanenti

6. Siepi frangivento e protezioni


Nella zona coltivata si mantiene la terra sempre ricoperta da uno spesso strato di pacciamatura (meglio un misto di materiale di recupero o di riciclo: paglia, rametti, carta non tossica, foglie morte) che ha la stessa funzione delle foglie morte sul suolo di un bosco.

Il suolo non è mai scoperto in natura. La pacciamatura trattiene una basilare umidità del suolo, combatte la crescita delle erbe spontanee mantenendo il terreno lontano dalla luce diretta, protegge la fertilità del suolo dal dilavamento della pioggia, evita l’ effetto di compattamento del suolo quando piove violentemente o grandina.

Solitamente in questo tipo di orti l’irrigazione viene applicata con la tecnologia “a goccia” (tubi forati installati sotto la pacciamatura), senza sprecare quantità d’acqua nell’aria o sulle foglie, oltre che senza rischiare di slavare sostanze nutritive utili dal corpo della pianta o dal terreno.

Critiche al metodo

Il metodo di agricoltura sinergica è criticato dal Metodo Manenti perché non permette alle piante spontanee di crescere a fianco delle piante coltivate (la loro crescita viene ostacolata con cartoni e paglia, e quando crescono lo stesso bypassando tali ostacoli, vengono diserbate a mano). Ma così facendo si tende a mantenere “pulito” il bancale, in disaccordo con l’esigenza del terreno che necessita di biodiversità e complementarità.

Dal metodo Manenti arriva la critica alle leguminose: non sono tanto necessarie alla ricchezza minerale del suolo. Tale ricchezza arriverebbe soprattutto dalle micorrize e dalla biodiversità complessiva (macrofauna, batteri e funghi, piante, microfauna).

Inoltre, il coprire con abbondante pacciamatura (paglia) con elevato carico di carbonio porterebbe, secondo i detrattori del metodo sinergico, uno squilibrio nel terreno, oltre ad essere un veicolo di diffusione per le lumache, che in alcuni climi (in Spagna e Austria meridionale ad esempio) sono una vera piaga. Le lumache amano proliferare sotto gli strati umidi di foglie, che la pacciamatura simula con la sua copertura permanente.

Per farsi una personale idea delle diverse scuole di pensiero si consiglia di confrontare i metodi, diversificare gli studi ma soprattutto sperimentare con approccio osservazione-retroazione.

– Si suggerisce la lettura del libro sul Metodo Manenti (nel blog è presente un resoconto di tale metodo a questo link).

– Si suggerisce la lettura e studio della scuola dei coniugi Bourguignon (testo: Il suolo un partimonio da salvare, Intervista ai Bourguignon nel film: Soluzioni locali per un disordine globale, di Coline Serreau | youtube con sottotitoli in italiano), in disaccordo con Manenti per quanto riguarda il ruolo delle leguminose.

Bibliografia e approfondimenti

§ Manuale orto sinergico scaricabile qui.

§ Manuale orto sinergico del progetto “La città degli Orti” rilegato qui.

§ Documenti di archivio e riferimenti della Libera Scuola di Agricoltura Sinergica.

§ Articolo di Marilia Zappalà su Chi era Emilia Hazelip.

§ Gli appunti di Emilia in Italiano (thanks to Nicola di Ortodicarta).

§ The Living Soil – Ethylene Oxygen Cycle, Alan Smith, 1977.

§ Ciclo Ossigeno-Etilene, Alan Smith, traduzione dell’articolo originale (senza figure).

§ Selvatici

§ Agricoltura Sinergica

§ naturalagriculture.eu

§ Molti libri di agricoltura naturale in italiano a questo link dell’editore.

Qualche video

Una lista di video la trovate al seguente link




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Prima del 1900, ogni città conteneva entro i suoi confini fattorie e frutteti. […] Le città (oggi) sono diventate totalmente incapaci di provvedere a sé stesse  in termini di alimentazione ed energia e attualmente consumano molto più di quanto riescano a produrre.

E’ solo la nostra passiva dipendenza dalle autorità amministrative ad impedirci di agire efficacemente. [Bill Mollison, 1992]

La transizione è un esperimento sociale su scala macroscopica. Siamo convinti che:

a) Se aspettiamo i governi, potrà essere troppo poco e troppo tardi;

b) se agiamo individualmente sarà troppo poco;

c) se agiamo come comunità, si potrà rispondere in misura adeguata e in tempo. [Rob Hopkins, 2008]

Il campanello nella testa

E’ sterminata la bibliografia e filmografia utile a renderci conto di quanto sia da prendere con scetticismo l’alimentazione industriale del dopoguerra, ma nonostante questo essa guida ancora oggi la dieta giornaliera della maggioranza di persone in occidente, colpa della martellante persuasione mediatica. Pesa su di noi tuttavia, come prova, una testimonianza plurigenerazionale di malati. Un grafico illuminante potrebbe essere quello del picco della salute (lo dice anche la Commissione Europea per la Salute): siamo la prima generazione i cui figli nascono più malati dei genitori. Questo perché ormai il transitorio inerziale, il ritardo di fase, o come volete chiamarlo voi, della concatenazione esposizione-contaminazione-accumulazione-trasmissione ha esaurito le sue oscillazioni, gli effetti si cominciano a manifestare alla grande.

Se poi si vuole prendere in considerazione l’impatto che l’agricoltura industriale ha provocato all’ecosistema (vedi HOME dal minuto 25′), si rafforza di molto la convinzione che è necessario rendere “sostenibile” il piatto che mangiamo, a cominciare magari dalla carne.

Il documento La transizione Agroalimentare è ottimo per chi volesse essere reso partecipe di questi ed altri dilemmi sulla tollerabilità del nostro sistema industriale.

Quello che scrivo sono considerazioni personali: in rete troverete opinioni e resoconti che pretendono di dimostrare tutto e il contrario di tutto.. Allora io traccio il mio percorso e chi vuole capire, capisca.

I campanelli di allarme arrivano da tutti i lati, per chi vuole ascoltarli:

§  L’effetto degli agenti chimici alimentari | Report 13/11/2008;

§  Dietro le quinte dell’industria alimentare | Report 13/04/2008;

§  Senza mezzi termini, il Film Food spa;

§ Carne | Report 17/05/2009 | Earthlings (documentario forte);

§  Il  libro di Michael Pollan sull’alimentazione;

§  Cosa stanno facendo al cibo? | Il mondo secondo Monsanto (sott. ita);

§  Un documentario del 2004 sul futuro del cibo (inglese).

Provvedere ad un’alimentazione migliore: diamoci da fare.

Penso che partire dal decalogo di M. Pollan sia perfettamente sensato, riassumendolo:

1) Semplificare il concetto di cibo, tornare alla cucina tradizionale e basarsi sull’integrità degli alimenti;

2) Tenersi lontani da sostanze contaminanti di cui i cibi industriali sono pieni;

3) Fidarsi il meno possibile –> Quindi: conoscere gli allevatori, gli orticoltori o, ancora meglio, produrre il proprio cibo.

(Vedi anche la sintonia con i punti 05, 07 e 08 del Decalogo Alimentare di Monteveglio CT).

Provengo da una esperienza di più di un anno passato a cercare e sperimentare circuiti e iniziative di alimentazione biologica in città. Provate anche voi a sperimentare le seguenti scelte (in ordine crescente di coinvolgimento) al livello più alto possibile :

0. Livello zero (a cui appartenevo io due anni fa).

Frutta, verdura, carni della grande distribuzione (provenienti da monocolture ad alto uso di fertilizzanti, pesticidi, erbicidi, conservanti, funghicidi; ortaggi fuori stagione coltivati in serra; allevamenti intensivi a base di mangimi animali, ormoni, antibiotici, dopanti).

1. Alimenti a Km 0.

Si elimina l’impronta ecologica (pdf) del trasporto. Ma chi mi assicura che i prodotti non sono coltivati con i metodi di sempre?

2. Alimenti biologici.

2.1 Prima scelta: acquistarli in negozi specializzati o mercati certificati.

C’è stato un periodo in cui viaggiavo quattro-cinque volte al mese per andare ad acquistare presso (super)mercati Bio. Tra questi il più fornito era VentasEcologicas, al centro della capitale.

2.2 Seconda scelta: acquistarli in internet con distribuzione a domicilio. Questa è la famosa cesta settimanale biologica.

Ho provato (sempre in Spagna) i seguenti circuiti:

Mil Historias

Terra Madre

Cesta verde

TuCosecha

Sono commercianti organizzati in alcuni centri logistici dove arrivano i camion dai produttori e dove preparano gli imballaggi da recapitare ai clienti. E’ un servizio ben lontano dall’essere a chilometro zero: se per esempio non si sceglie opportuni prodotti di stagione locali, questi commercinati -parlo per esperienza- sono capaci di importare mele dal Cile o banane dal Sud America etichettate come Bio (sì, ma che impatto ambientale!). Per evitare questo, consiglio di telefonare ed essere molto chiari sul tipo di prodotti che si vuole nella cesta e di procurarsi un calendarietto dei prodotti di stagione mese per mese.

2.3 Alimenti biologici acquistati direttamente dai produttori.

Questo non è pratico se si vive molto lontano dalle zone di produzione. Ho provato solo con alimenti di cui si può fare scorta: olio (comprandone 50-100 litri alla volta) e carne (una spesa di 200-300 euro per poi congelarla).

3. GAS – gruppi di acquisto solidale.

Il Gas consiste in una rete di cittadini (consumatori è la parola da non usare :) che decidono di acquistare all’ingrosso prodotti bio. Si organizza poi la distribuzione tra i partecipanti.

La logica dei gruppi di acquisto è spiegata bene in questa puntata di Report 1/11/2009. Esiste un sito della Rete Gas.

Personalmente sono rimasto deluso dalla poca organizzazione di Madrid in merito: in una città così grande io e mia moglie abbiamo trovato un solo gruppo vero (e invece molti i gruppi fantasma) e se un giorno vi racconterò il resoconto di quell’esperienza ci sarà da ridere. Tuttavia facendo autocritica credo mi abbia danneggiato l’eccesso di aspettativa che riponevo nella situazione: in queste situazioni la gente si aspetta una personalità carismatica che porti avanti tutta la baracca, abbiamo vergognosamente bisogno di leader.

Dopo quest’esperienza sono ritornato (e rimasto) al passo 2.2.

E’ meglio creare un Gas dopo aver cominciato ad intessere un rapporto con le persone (ad esempio all’interno di una Transizione, esempi sono a Granarolo, Scandiano, Carimate, ecc..). Altrimenti, se ci si limita ad una motivazione puramente commerciale, il legante è troppo debole per garantire la durata dell’iniziativa.

4. CSA – Modelli di agricoltura sostenuta dalla comunità.

E’ un’idea americana, inglese e non solo, che nacque negli anni 60 e che può essere pensata come un’unione dei gruppi di acquisto con le cooperative di produttori biologici locali. Un esempio nostrano è l’iniziativa C.O.S.A. di Lucca.

Gli acquirenti finanziano direttamente i produttori locali con gruppi di acquisto come i Gas, in questa filiera corta non entrano quindi altri intermediari commerciali, questo mantiene bassi i prezzi (lato cliente) e profitti più giusti dal lato produttore: tutti ci guadagnano.

I CSA sono una categoria che include una vasta gama di progetti dalle caratteristiche differenti: accordi di rischio tra produttore e cliente, enfasi sulla trasparenza, acquisizione di skill sull’agricoltura sotto forma di visite e campi di lavoro, giornate della raccolta e semina, insomma il limite alle idee è la fantasia dei partecipanti.

5. Lavorare presso produttori biologici.

Ho provato a lavorare come Wwoofer in aziende biologiche della zona dove vivo, manifestando l’interesse per un compenso in natura. Credo che questo, indipendentemente dal tipo di compenso, serve a maturare un rapporto di fiducia con i produttori e ad acquisire know-how personale.

6. Accesso alla terra per comunità urbane.

Di queste iniziative non ho esperienza diretta, ne do un accenno basandomi su quanto conosciuto con internet e quanto fin’ora letto (vedi bibliografia).

6.1 Orti sociali.

Si basano sulla gestione (più o meno diretta) di un pezzo di terra da parte di un gruppo cittadino per scopi di autoconsumo.

In italia un esempio di mia conoscenza è il progetto Orti Solidali a Roma di Anna Satta. La famiglia sceglie l’orto da adottare: riceverà durante l’anno i prodotti del suo orto coltivati appositamente dai gestori del progetto e in più potrà andare a dare una mano nella coltivazione dell’orto. Il tutto finanziato con una piccola quota annuale.

6.2 City farms (città fattoria) e progetti di adozione della terra.

Un gruppo cittadino fa pressione sulle amministrazioni locali per ottenere una concessione a lungo termine di lotti di terra non utilizzati, in cui organizzare un lavoro di suddivisione e autoproduzione alimentare. E’ fondamentale che l’accordo sia a lungo termine per stimolare l’entusiasmo e dare un senso di appartenenza all’attività.

6.3 Land sharing (accordi per la coltivazione di terreni privati).

Si sta diffondendo molto in UK una rete di proprietari di terreni e gente disposta a coltivarli per autoproduzione.

6.4 Cooperative tra produttori e acquirenti.

L’idea base è simile a quella dei CSA, ma con maggiore partecipazione del gruppo cittadino.

Tra produttore e acquirenti si svolge una co-gestione del terreno scelto: dagli incontri periodici e decisione di cosa piantare o allevare, alla parziale condivisione dei costi (alcuni costi) e d’altro canto un lavoro del terreno da parte del proprietario attenendosi agli accordi presi. I prezzi convenienti alla fine dell’anno sarebbero una conseguenza della stabilità delle vendite del produttore al gruppo cittadino insime al quale è partito il progetto.

6.5 GAT

Si tratta qui di un vero e proprio acquisto cooperativo di terreno da parte di un gruppo cittadino che poi decide il modo di gestirlo, di solito agricoltura e orticoltura per autoconsumo. Googlando in rete la parola GAT escono in Italia già molti esempi in merito.

7. Economie comunitarie.

Questi sono sistemi più indiretti di finanziare l’agricoltura locale, ma puntano a lungo periodo ad un vero cambio strutturale dell’economia.

7.1 Monete complementari locali.

Il denaro sta alla società come l’acqua al territorio. E’ l’agente di trasporto, ciò che riesce a dare forma e movimento al commercio. Come per l’acqua, ai fini del benessere finanziario della comunità ciò che importa non è tanto la quantità totale di denaro che vi entra quanto gli usi a cui viene destinato e i suoi cicli di utilizzo. […] Se una banca commerciale s’installa in una comunità e s’impegna esclusivamente a vendere le sue risorse, allora ciò che si ottiene è una pompa che risucchia queste risorse e le porta altrove.  [B.Mollison]

Le persone hanno trovato (e continuano a farlo) approcci al denaro che consentono non solo di bloccare l’emorraggia di ricchezza all’esterno, ma che permettono di far circolare la ricchezza stessa, o un suo complementare, all’interno di circuiti particolarmente importanti, ad esempio il biologico, senza venir pompati via come descritto da Mollison.

In Italia il circuito più famoso di denaro complementare è lo SCEC (a questo link il sistema italiano e a quest’altro quello newyorkese).

7.2 Microcredito e finanza etica.

La finanza etica è uno strumento che consente di indirizzare i risparmi a favore di progetti positivi e locali, come prestiti ad agricoltori biologici della zona, finanziamenti alle rinnovabili e progetti sociali.

Di questi istituti conosco Triodos bank e in Italia Jak e Banca Etica.

8. Coltivare il proprio orto.

Chi ha 2 metri quadri di giardino può anche cominciare da subito a coltivare il suo orto sinergico!

A questo link trovate un manuale con tutte le informazioni che servono per cominciare.

Bibliografia

Cibo locale, Hopkins & Pinkerton, Arianna editrice.

Introduzione alla Permacultura, Bill Mollison e Reny Mia Slay.

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