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Archive for giugno 2016

Ieri notte a Vitoria un mio amico raccoglieva in strada un simpatico adesivo per terra perché riportava una scritta in basco: Eskerrik asko, che significa Grazie. Gli piaceva l’idea di tenerlo attaccato in camera come promemoria per ricordare l’espressione “Grazie” in basco, difficile da ricordare.
Stamattina in un bar mi soffermo a leggere l’articolo in prima pagina: c’era proprio la foto di quell’adesivo, che era il logo di una manifestazione contro la riapertura della centrale nucleare di Garoña, prov. di Burgos, a soli 40 km da Vitoria.
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La manifestazione aveva come slogan: “Garoña? No, Grazie.”

Leggo e capisco la vecchia storia di politica e corruzione, connubio inscindibile:

Il governo locale, in vista delle elezioni, ha avuto la triviale quanto efficace idea di tornare al passato raccogliendo i favoritismi dell’elettorato di destra: ventilando l’idea di firmare la concessione per la riapertura della ormai decommissionata centrale nucleare di Garoña per altri venti anni dalla sua chiusura (40 anni di servizio massimi possibili secondo la legge, 60 anni invece la proroga proposta). Ciò porterebbe la centrale a funzionare rischiosamente fino al 2031.
La popolazione aveva già manifestato in massa sei mesi fa, ma fottendosene ampiamente i politici pochi giorni orsono hanno annunciato in conferenza stampa la decisione come fosse ormai presa.

Come ingegnere rimango allibito da tanta stupidaggine: siamo nel secolo delle rinnovabili, la Spagna produce già più del 40% di energia in rinnovabili. Vitoria è la città del vento.

Il motivo per cui scrivo in questo contesto è la voglia di condividere il seguente pensiero: quanto è simile questa vicenda a quella fiorentina del ritorno al passato con un nuovo inceneritore (dopo che il precedente era ormai stato chiuso per continuativi allarmi per contaminazione da diossine) in contrapposizione totale alla volontà degli abitanti locali che ripetutamente hanno manifestato negli anni la volontà di procedere per altre strade, quelle del recupero ambientale, della deindustrializzazione e della raccolta differenziata.

Penso che il vero problema fiorentino, e vitoriano, e di altre realtà sociali simili in tutto il mondo, non sia la disobbedienza civile, ma piuttosto l’obbedienza civile.

Ce n’è troppa.

La gente va convinta che il mondo si cambia a momento giusto, nel posto giusto. Senza lasciar passare l’attimo e senza mancare della vera arma del successo: la comunicazione.

Mea culpa: anch’io ho fallito in questo. Mi sono stancato di lottare e di perdere, e mi sono fatto cambiare dal sistema.

Diceva mio nonno: “Mangia bene e allucca quando vene!” (mangia bene e grida forte quando ti vogliono far del male)
Chi si sta zitto, come chi non pianta i piedi, perde.

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Bellissima digressione sulla storia recente.

 

C’era una volta l’Agricoltura biologica che non era soltanto un metodo colturale ma era anche un metodo culturale.
Nei primi anni 70, essere un agricoltore biologico era sinonimo di sovversivo, anarchico, hippie, gente che cercava un modello di vita reale all’utopia anticapitalista. In quel tempo agricoltura biologica ed Ecologia andavano a braccetto, per un mondo diverso dallo stato capitalista,
centralista, comunista, iperindustrializzato, consumista e guerrafondaio. Dove la Monsanto forniva l’agente orange alle truppe americane in Vietnam, e oggi produce il Raundup per l’agricoltura, a base di glyphosato principale ingrediente dell’agente orange, o la Union Carbide,  (oggi Dow Chemical ) quella del disastro di Bhopal in India nel 1984, 300.000 morti, che produceva il Sevin pesticida “miracoloso” per gli agricoltori indiani il cui principio attivo (isocianato di metile) è usato come gas di sterminio dagli eserciti di tutto il mondo; multinazionali che forniscono ancora oggi gli stessi prodotti al Ministero della guerra e al Ministero dell’agricoltura.

Finita la festa del 68 alcuni di quei capelloni hippie anarchici pacifisti, abbandonano la città e si trasferiscono in campagna, su terreni marginali della collina centro italiana, terreni abbandonati dai contadini mezzadri negli anni 50, o meglio costretti dal padrone ad abbandonarli perché poco
produttivi, non a caso le tre sorelle, CIA, Coldiretti, Confagricoltura, si schierarono subito apertamente contrarie a questi nuovi arrivati che sapevano pure leggere scrivere e far di conto.
Si cominciò a mettere in pratica le utopie del 68. “Piccolo è bello” di Ernest Schumacher e “Il testamento agricolo” di sir Albert Howard furono i nostri manifesti politici culturali e colturali, si capi che il mangiare era un atto politico, e che il suolo era il primo anello della catena
alimentare, che la “fertilità del suolo” era la chiave del problema agricolo.

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Non i concimi chimici, la mentalità NPK (azoto, fosforo, potassio) dei seguaci di Justus von Liebig, (a onor del vero va detto che fu lo stesso Liebig ad accorgersi dell’errore alla fine della sua vita, con una serie di scritti apocalittici, oggi noti come testamento di Liebig, tenuti segreti
per oltre un secolo a generazioni di agronomi, dalle università di tutto il mondo), non i pesticidi la cui pericolosità per l’eco sistema è ormai ampiamente documentata, non gli OGM, l’ultima frontiera della scienza riduzionista, che il padre della genetica italiana il Prof. Giuseppe
Sermonti tentò invano di mettere in guardia i suoi studenti all’università
di Perugia prima di essere isolato e deriso dall’italiota intellighenzia.

Tutti metodi agricoli che cercano di curare la malattia e non la causa che l’ha generata.

“Le microbe n’est rien le terrain est tout.” (Louis Pasteur.)

In Italia il movimento del biologico muove i suoi primi passi in Toscana alla fine degli anni 70 nascono le prime associazioni: “ Cos’è biologico?”, la Fierucola, Asci, Il Coordinamento Toscano Produttori Biologici (C.T.P.B.) Quest’ultimo da vita al primo sistema di controllo autocertificato, con un pugno di giovani agronomi fortemente motivati. In pochi anni in tutte le regioni italiane si formano associazioni di produttori biologici, dal Veneto alle Marche alla Sardegna, fioriscono come funghi associazioni, dibattiti, convegni. Nasce un mercato, prima di nicchia poi di settore che fattura numeri importanti. Furono dieci anni di crescita esponenziale.

Poi come dice il Prof. Giorgio Nebbia: “ L’attenzione per l’ecologia declino presto e nuovi aggettivi più accattivanti comparvero come “verde”, “sostenibile” e, più recentemente “biologico”, da associare al nome di prodotti commerciali che un venditore vuole dimostrare “buoni”. Fu allora che lo stato centralista, che ormai era diventato Europa, corse ai ripari. Nel 1993 viene varato a Bruxelles il primo regolamento comunitario sull’agricoltura biologica. Ci sembrò una vittoria, fu l’inizio della fine.
La strategia? Quella di sempre: “divide et impera” Separarono per legge il controllore dal controllato con la scusa del conflitto di interessi, salvo far pagare il controllo come prima agli agricoltori controllati. Iniziò una guerra fratricida fra associazioni di controllo e associazioni
di agricoltori biologici. Le prime forti delle leggi comunitarie si imposero sulle associazioni degli agricoltori chiudendo ogni rapporto, rifiutando persino una rappresentanza degli agricoltori controllati nelle commissioni di certificazione dove erano presenti consumatori e ricerca
universitaria, salvo sceglierseli da soli, (come se la FIAT si scegliesse i rappresentanti sindacali) ancora una volta gli agricoltori furono relegati a servi della gleba, va sottolineato come la stragrande maggioranza delle associazioni del “biologico certificato” IFOAM compresa siano
particolarmente carenti di democrazia partecipata, strutture piramidali autoreferenziali, forse solo così hanno facile accesso nei palazzi della politica?
Gli stessi giovani agronomi che pochi anni prima coinvolti dagli agricoltori biologici ne avevano sposato ideologie e politiche, che insieme avevano costruito un sistema di controllo aperto e costruttivo, gli stessi controllori che il CTPB prestò ad AIAB per essere accreditata a livello
europeo, ora certificavano tutto e il contrario di tutto, l’agricoltura biologica, e l’agricoltura integrata, la piccola fattoria autosufficiente e il latifondo ad agricoltura industriale “biologica”. secondo le nuove normative CEE.
In pochi anni le associazioni regionali di agricoltori biologici certificati o meno furono spazzate via, oggi associazioni regionali di agricoltori biologici degne di questo nome non esistono più. Asci, Fierucola, AIAB, AMAB, lo stesso CTPB sono ormai degli spettri che si aggirano con nostalgia nella campagna toscana e come in Toscana lo stesso è successo nelle altre regioni.
Miglior sorte non è toccata alle associazioni di certificazione, i controllori sono stati trasformati in esattori del governo, griglie e tabelle di conformità nei minimi particolari decidono per loro, come robot si aggirano nelle loro visite ispettive controllano la burocrazia delle
aziende, (in media il 90% del tempo della visita) spuntando gli innumerevoli quadratini delle tabelle di conformità che il ministero dell’agricoltura gli fornisce. ( un “regalo” del Ministro Nunzia De Girolamo, nella sua lunga carriera come ministro dell’agricoltura, tre
mesi.) Umiliandoli con un lavoro che al massimo richiede una licenza media,
disprezzando così quella laurea in agraria che potrebbe fruttuosamente essere messa a disposizione dell’agricoltore controllato in un ottica diametralmente opposta alle tabelle di conformità, che riconosce all’agronomo controllore la sua professionalità.
Si chiude per legge il rapporto costruttivo fra agronomo controllore e agricoltore controllato, come formulato da Schumaker in “Soil Association” in Inghilterra nel 1946.
Questo unito alla deriva mercantile a cui ci siamo assoggettati accettando acriticamente tutte le leggi che la Comunità europea ci calava dall’alto, in primis il brevetto del logo “agricoltura biologica”, D’ora innanzi l’agricoltura biologica per legge era cosa loro. L’assioma che il
settore Primario l’agricoltura produce merci “speciali” che non possono sottostare alle stesse leggi di mercato del settore Secondario l’industria, viene abilmente aggirato.

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Il dado è tratto. L’agricoltura biologica diventa un metodo di coltivazione fra i tanti, che produce prodotti “che un venditore vuole dimostrare buoni”, per lo stesso mercato consumistico capitalista, allineandosi in bella vista fra i banchi dei supermercati.

Con un operazione di ingegneria genetica hanno silenziato dal DNA dell’agricoltura biologica il gene rivoluzionario… E noi siamo stati le consapevoli o inconsapevoli cavie!
Perché allora non uscire dal biologico “certificato”? Unirsi a gruppi alternativi come “garanzia partecipata”, “genuino clandestino”, “agricoltura naturale”, “mercato a Km. 0”, e tanti altri?
Perché non è solo un problema di certificazione, anche se la certificazione cosi com’é ha fallito.

E’ lo spirito associativo vero, quello capace di essere influente sulle politiche locali che è finito. Si è affievolito lo Spirito direbbe Gino Girolomoni. Abbiamo smesso di credere che avremmo cambiato il mondo, e intanto il mondo cambiava noi. Il tempo passa e lo “spirito giovanile rivoluzionario” con esso?
Che fare?

Sicuramente non buttare il bambino insieme all’acqua sporca.

Un grazie planetario a tutti gli agricoltori biologici certificati e non, che faticosamente in tutto il mondo, oggi in questi tempi oscuri dove i cavalieri dell’apocalisse galoppano per mari e per monti, riescono con il
loro lavoro 365 giorni all’anno anno dopo anno, nonostante tutto a produrre quel poco di cibo buono che c’è.

Le utopie, le speranze i sogni di una vecchia generazione possono diventare realtà per una nuova, purché il filo “sottile” lo Spirito che le unisce non venga spezzato.
Morale? Le speranze “politiche” della mia generazione di agricoltori biologici non si sono realizzate, sicuramente molti gli errori commessi, ma nessun rimpianto, consapevoli del privilegio per essere vissuti a contatto con la Natura, qui abbiamo fatto crescere i nostri figli e i nostri nipoti. Come dice un vecchio proverbio cinese: “…se vuoi essere felice tutta la
vita fai il contadino.”

Forse l’evoluzione ha tempi più lunghi di una vita.

Abbiamo messo un seme nella terra fertile e l’abbiamo concimato con la nostra vita. Madre Terra lo custodirà con amore e un giorno, quando saremo morti, cioè concime, una nuova generazione lo vedrà nascere.

“ La morte è la più grande invenzione della Natura per avere molta vita.”
(Goethe)

E Natura è il nome che i non credenti danno a Dio.

 

di Alfredo Anitori [Az.agr.Sommavilla]

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