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Archive for gennaio 2015

Warning: In questo post non troverete foto allettanti, solo una noiosa ricetta.

pica

La teoria

Pensavo un giorno che di questi tempi, essendo la temperatura esterna costantemente intorno ai 10°C, si può fare una lunga lievitazione della pizza, rendendola quindi più digeribile, tenendola fuori per qualche ora.

La temperatura del frigorifero è troppo bassa, circa 4°C, la lievitazione rallenterebbe troppo. D’altra parte in casa essendoci circa 20°C accelererebbe tanto da dovermi costringere a far durare la lievitazione non più di 3-4 ore. Troppo poco per permettere alla farina di trasformarsi adeguatamente.

Ho fatto varie prove tentando inoltre di usare la maggiore percentuale possibile di farina ingrale. Questo que segue è la ricetta che mi ha permesso di avere un buon risultato.

La pratica

L’impasto unico lo preparo con 400 ml acqua tiepida (35° circa) in cui sciolgo un cucchiaio di lievito madre più una frazione di lievito di birra, circa 8-10g (la terza parte circa di un cubetto di lievito commerciale da 25g). Aggiungo 3 cucchiaini rasi di sale fino. A questo punto aggiungo 300 g di farina integrale (di grano tenero va benissimo). Poi per la restante farina necessaria uso farina di grano tenero tipo 0. La quantità totale di farina usata non posso scriverla perché non è una dose fissa: può variare leggeremente ogni volta. Il metro di misura deve essere l’impasto finale: abbastanza asciutto da formare una pagnotta elastica che non si attacca alle mani, ma abbastanza morbida da poter essere modellata senza sforzo.

E’ importante per ottenere questo non versare tutta la farina in blocco, ma a dosi di 100 g circa alla volta (un mestolo da cucina colmo). Fare pratica. Impastare è un’arte che va raffinata pian piano!

Dopo circa 5 minuti di fase di impasto si esegue la prova del dito: se premendo col dito l’impasto rimbalza, tornando a gonfiarsi, vuol dire che ha raggunto l’elasticità ottimale.

Avvolgo la ciotola in una coperta e la lascio fuori al balcone per 5 ore (tipicamente impasto alle 10:00 di mattina e lascio fuori fino alle 15:00)

Dopo aver portato la ciotola in casa, incido una croce superficialmente col coltello e la lascio lievitare per altre 3 ore. Occorre infatti che la lievitazione riprenda forza mano a mano che l’impasto si riscalda e raggiunge la temperatura di 20°C ambiente.

Verso le 18:00 circa tolgo l’impasto dalla ciotola (la croce deve essersi allargata, il volume deve essere circa raddoppiato).

Divido in panetti e stendo ciascun panetto su una spianatoia col mattarello (da ogni panetto si dovrà ottenere una pizza). Dopo aver oliato uniformemente un vassoio da forno (il vassoio va poi ripulito dal lago d’olio con un fazzoletto di carta, per evitare che la pizza frigga) la stendo sul vassoio e lascio riposare per un’altra ora (o meno): la pizza comincerà a lievitare lentamente, ridiventando morbida dopo essere stata “schiacciata” e incrudita dal mattarello. Questa ultima fase di lievitazione finale della pizza per me è fondamentale: è così che si ottiene una pizza più o meno sottile, più o meno spugnosa in bocca.

Infine guarnisco e cuocio per 30 min. a 180°C.

Alle 20:00 è pronta!

 

NB. Per poter ripetere la stessa ricetta vanno tenute d’occhio le temperature esterne e interne. Se infatti aumentano di pochi gradi, la lievitazione può accelerare di molto, o viceversa.

 

Riferimenti

Farine che uso:

-Farina di grano tenero integrale Camporbiano

-Farina integrale di grano tenero Saragolla, proveniente dal Vallo di Diano

-Farina integrale di grano duro Cappelli proveniente dal Vallo di Diano

-Farina di grano tipo 0 dell’Azienda Agricola F.lli Ponzin . Presso la stessa azienda mi fornisco di fior di latte (mozzarella di mucca) per la pizza

Sale da cucina:

-Sale marino siciliano non iodato senza antiagglomeranti

NON uso sale fossile né dell’Himalaya per questioni di impatto ambientale

Acqua:

-acqua di rubinetto precedentemente decantata

 

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L’effetto delle economie partecipate è sempre quello di stupire per la rapidità e capillarità di diffusione.

La crescita economica è ormai un danno, lo sanno tutti, nel nostro pianeta sovraffollato [5][6]. Il GDP (o Pil, in italiano) è un bene che venga fatto decrescere in maniera pianificata e progressiva [1][2], mentre invece è benefico che cresca la diffusione del nuovo modello di ecologia ovvero economia sostenibile. Per farlo è ormai chiaro che la chiave di (leeeeento) successo sono le iniziative locali, di Contro-movimento, di Comunità con la iniziale maiuscola (il cosiddetto Piano C [3], alternativo al fallimentare Piano B [4] imposto dall’alto della piramide).

E, dunque, ben vengano queste mappature che permettono di trovare facilmente l’economia di prossimità con una semplice spulciata in rete.

Scegliete la rete che vi interessa di più e partecipate!

 

– Pasta Padre – Comunità del pane fatto in casa

– Rete di Economia Solidale della provincia di Como

– Mappa dell’Italia che Cambia di Daniel Tarozzi

Mappa Rete Ticino – Siti d’interesse ambientale e alimentare del Ticino e regioni limitrofe

Biologico.Parma – Mappa del Consorzio Parmigiano Bio

 

 

Altre mappe in arrivo! Accetto commenti che ne segnalino altre e arricchiscano l’elenco.

 

Riferimenti

[1] I Limiti della crescita, Rapporto al Club di Roma, Meadows

[2] I nuovi limiti della crescita, Meadows

[3] Community Solution (in Inglese e Spagnolo)

[4] Piano B, Lester Brown, Edizioni Ambiente

[5] Richard Heinberg, La fine della crescita, conferenza (attivare sottotitoli in Italiano)

[6] Who killed the Growth – video (Inglese)

 

 

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Appunti di pane. Col Capodanno non se ne sono andati solo i vecchi abiti e le promesse non mantenute del 2014, ma anche la pasta acida: ho lasciato il lievito madre per 16 giorni in frigo e, di ritorno, era tutto ammuffito. Poco male – mi sono detto – una buona occasione per ricominciare. E’ la terza volta che mi capita di dover salvare in extremis una pasta acida andata a male, così questo è quanto ho fatto per ripartire da zero, o quasi.

Conservo la pasta acida generalmente in tre formati. Liquida, in forma di panetto e infine congelata. Restando per più di due settimane seppur in frigo può capitare che entrambe le prime due forme vengano attaccate dalla muffa. La forma liquida è necessario buttarla totalmente: le muffe hanno un tenace micelio che penetra in tutta l’amalgama rilasciando tossine. Per il panetto il discorso può essere diverso: tolgo la parte superficiale a strati, lasciando via via un pezzo sempre più piccolo. Alla fine prendo solo un cuore interno grande come una briciola: quello può bastare a ricominciare. Ma questa volta il panetto l’ho trovato troppo attaccato dalla muffa per potermi fidare: ho preso dunque a malinquore la scaglia di pasta madre congelata venti giorni prima e ho fatto quanto segue.

L’ho lasciata scongelare una nottata in un po’ d’acqua precedentemente bollita per farla declorare: quando la temperatura dell’acqua è scesa a 35°C ci ho mescolato un po’ di farina bianca (tipo 0 oppure 00) e vi ho messo la scaglia di pasta madre, lasciandola tutta la notte (8-12 ore).

La mattina seguente la pasta madre era molle. L’ho impastata all’acqua e farina in cui stava già in ammollo, poi ho aggiunto altra acqua e farina e ho impastato fino a formare un piccolo panetto, come in foto. Ho fatto la X in superficie col coltello e l’ho lasciata riposare una mezza giornata: ha cominciato una lenta ripresa. Dopo 5-6 ore si presentava così: la X si era allargata. E’ questo il segno inconfondibile della lievitazione.

rivitA questo punto ho usato quel panetto come fosse lievito, mescolandolo a 350ml di acqua salata (3 cucchiaini rasi di sale) e 700 g circa di farina integrale e reimpastando da zero il tutto. dopo un’intera giornata passata a fermentare (ho aspettato il raddoppio di volume), il pane era pronto per essere diviso in 2 pagnotte, lasciato riposare un altro po’ e infine infornato. Cottura: 50min a 200.

Conclusione. La pasta acida congelata per 20 giorni rimane viva, ma è necessaria una lunga ripresa (1-2 giorni) per tornare alla vitalità di prima.

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