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Firenze, 11 settembre 2021

Padre separato, con seconda dose di vaccino Covid19 e GREEN PASS, è obbligato dalla ex-coniuge a fare tampone se vuole rivedere la figlia.

Il padre è da anni in lotta per stare con la figlia di 9 anni, invano.

Sottratta al padre all’indomani della separazione consensuale dalla ex-coniuge e mantenuta da allora (dal 2018) in stato di alienazione paterna, tutte le battaglie legali e le denunce alle forze dell’ordine, nonché le denunce penali per violazione del c.p. 388 per mancata ottemperanza ai giorni di mantenimento che la madre avrebbe dovuto concedere all’ex-marito, sono state vane.

Ad oggi il padre vive le sue quotidiane vessazioni nel chiedere di trascorrere del tempo con la figlia, vedendosi sbattere la porta in faccia con le scuse più paradossali, ultima tra tutte, in ordine di tempo, quella di obbligarlo a inviare un tampone via mail alla ex-coniuge, prima di poter rivedere la figlia, al termine di un periodo estivo durante il quale inutile dirlo, da tre anni in avanti, la madre sparisce portandosi la bambina senza rispettare i provvedimenti del Tribunale ordinario di Firenze e senza informare il padre su dove sta la bambina.

Il padre è presente su Facebook e pur con tutte le cautele continua a divulgare la sua storia chiedendo il supporto di associazioni di tutela dei minori, sperando prima o poi di essere aiutato dalle persone giuste

Di tanto in tanto, molto raramente, vedo un film valido.

Uno che mi ha colpito particolarmente o che, comunque, ha lascia il segno è stato “Collateral Beauty” del 2016. Tale film è stato massacrato dalla critica quando è uscito nelle sale.

Leggendo le sciocche critiche mi è ritornata in mente quella frase:

“non prestare attenzione ai critici: sono perdenti che non hanno avuto successo come attori, si comportano come i soldati che, quando si accorgono di non avere fegato decidono di diventare, di mestiere, disertori”.

Bella, mi piace.

Anni prima fa avevo coniato la mia, di versione, a seguito di una conversazione avuta con un turista. Andò più o meno così:

“Ti piace lo sport?”

“Sì”

“quale guardi?”

“Mah. Ti sono sincero, non sono un esperto di sport, in realtà. L’unico sport che guardo è quello che pratico.”

“Quindi non sai dirmi chi è il tuo giocatore preferito, né tifi per qualche squadra in particolare?”

“Non mi piace passare il tempo a criticare i giocatori: sono loro che possono esprimere un giudizio sugli avversari, non gli spettatori.

Chi è spettatore di una partita non dovrebbe permettersi di giudicarla.

Per giudicare, devi avere prima la prerogativa di giocare”

“Se dici così non ti piace davvero lo sport”

“Cosa? tutt’altro. E’ solo che non piace lo sport da spettatore”

Collateral beauty è un film che a me ha colpito. E’ un film che è stato massacrato dalla critica.

La critica è capace di banalizzare tutto e ridicolizzare tutti. Il giorno dopo nessuno se ne ricorda più.

Ma dopotutto, chi è la critica? Una massa di spettatori che non hanno avuto la prerogativa di giocare. Quello che conta, invece, è che un film piace perché piace, non perché è bello.

Ed ecco cosa mi ha colpito del film.

Il dolore del padre (Will Smith) che ha perduto la figlia di 6 anni trova voce nei dialoghi che avvengono tra il protagonista con i tre personaggi immaginari:

Nei confronti della Morte:

“tutte le religioni dicono che bisogna accettarti, che sei parte del mondo. Ma qui arriva il punto: perché alla fine della giornata quello che conta è che non c’è mia figlia a stringermi la mano”

Nei confronti del Tempo:

“Tu non sei un ‘dono’, tu sei una condanna da scontare, una pena all’ergastolo”

Nei confronti dell’Amore:

“Tu mi hai tradito, non voglio più vivere con te tra i piedi”

Sono frasi, dette al Tempo, alla Morte, all’Amore, ma sono anche frasi che danno voce al sentimento che provano tanti padri ad un certo punto del loro percorso, mi riferisco a quei padri che hanno vissuto l’esperienza di perdere una figlia. E quanto sono vere quelle frasi!

E chi se ne frega della critica cinematografica. Quando si ascoltano quelle frasi, ci si sente come se si avesse finalmente trovato il modo di decodificare quello che il cuore spezzato tentava di esprimere a parole, senza riuscirci.

Le ascolto, le riascolto, ed è come aver trovato qualcuno che parla al posto mio.

Poco importa che sia un attore in un film che recita la parte: dopotutto quanti citano le poesie per esprimere i propri sentimenti perché incapaci di farlo a parole proprie? Quanti ricorrono a luoghi comuni per districarsi nel dedalo dei propri giudizi personali? Quanti usano parole d’altri per dare forma ai propri pensieri e alle proprie sensazioni?

Che male c’è se, ogni tanto, troviamo anche noi padri un film che interpreta parte del nostro dolore, e lo fa in maniera delicata, umile e con un attore come Will Smith che interpreta così intensamente la parte?

Sono sicuro che oltre al talento di attore, il requisito per una prestazione tanto verosimile è stato quello di essere padre a sua volta.

Quando nel 2014 persi il lavoro da impiegato e poco dopo dovetti difendermi dal divorzio imposto dall’ex-coniuge, mi ritrovai a fare i conti con una situazione che non avevo mai vissuto prima di quel momento: la povertà.

I tentativi di inserimento lavorativo non producevano i frutti sperati.

Mi accorgevo che mandare un CV dalla posizione di disoccupato non sortiva gli stessi effetti di mandarlo da occupato, sebbene i miei skill fossero gli stessi. Cominciai a chiedermi i motivi per cui il mio CV professionale che fino a quel momento aveva fatto invidia ai miei colleghi era diventato di colpo di serie b.

Veniva palesemente scartato.

L’onestà non è una virtù nell’ambiente lavorativo italiano, ambiente verso cui giocoforza stavo indirizzando le mie ricerche tentando invano di rimanere vicino a mia figlia.

Nessun manager o HR mi parlava in maniera chiara in modo da permettermi di capire quali skill avrei dovuto reintegrare nel mio profilo per reindirizzarmi al meglio al mondo lavorativo.

Conseguenza di questo, dovevo ampliare gli sforzi differenziando l’offerta.

Pensavo che se era difficile trovare una posizione lavorativa adatta a me, se quindi la ricerca chiedeva più tempo del previsto, potevo nel frattempo fare tre cose:

1) formarmi in altri settori, acquisire cioè skill in altre discipline sperando di ampliare lo spettro di opportunità lavorative;

2) far diventare le mie passioni un lavoro, tentando di investire cioè nei miei naturali talenti;

3) terzo e non ultimo, dare vita a qualche start-up, un campo, quello dell’imprenditoria, che non mi si confaceva e a cui non ero culturalmente preparato, ma che dovevo tentare.

Quindi a partire da subito nella giornata di 24 ore dovevo inserire in qualche modo, nonostante tutti i casini in cui ero finito, il tempo per:

– fare dei corsi, online, offline, pratici, teorici, insomma fare formazione;

– farmi venire delle idee per investire pochi soldi e avere un ritorno, aprire un’attività di vendita, di produzione di qualcosa, decidere quanti risparmi investire, insomma dare vita ad una attività imprenditoriale (lavoro questo, più che pratico, diciamo di progetto e concettuale, almeno inizialmente);

– strutturare il mio hobby del disegno in un percorso lineare che mi permettesse in breve tempo di lavorare come un artista “professionista”.

I corsi

Cominciai a seguire corsi di pittura e disegno in vari contesti formali (accademia di Como) e non formali (corsi per adulti organizzati da varie entità più o meno riconosciute: associazioni, dicasteri, ministeri, scuole, professionisti del settore ecc.)

Mi procurai tutto il materiale (3000 euro di investimento in un anno) e la notte la passavo a dipingere, srotolando il cellophan sul pavimento per non far macchiare il parquet (pensare che vivevo in una casa col parquet!) e poi ripulendo tutto entro la mattina seguente.

Studiavo grafica digitale online, partecipavo a gruppi di artisti su Facebook e cercavo materiale audiovisivo di buona qualità per quello che mi interessava imparare. Mi esercitavo, cercavo collaborazioni, cercavo visibilità, contattavo maestri, professori, corniciai, fornitori, sponsor…

Start-uppare

Poi dovevo pensare a qualche start-up. Le idee che mi vennero in successione furono negli anni:

  • produzione di funghi utilizzando la posa del caffè.

 

Era una idea non nuova ma sembrava essere redditizia in qualsiasi situazione climatica, dall’Inghilterra all’Australia e soprattutto bastava un luogo chiuso e abbastanza ampio come una officina, un appartamento vuoto o cose simili per iniziare l’attività.

Alcuni amici sembravano interessati ed erano agronomi, quindi avrei avuto la collaborazione di esperti, inoltre un imprenditore di Como si disse interessato ad ascoltare la proposta.

L’investimento era importante all’inizio ma successivamente le spese sarebbero state ridotte al solo ricambio di tanto in tanto dei materiali.

Tuttavia in un secondo momento le persone che inizialmente si sentivano coinvolte abbandonarono l’idea e così anche per me, preso da mille calcoli ma sostanzialmente ipotetici, non avendo esperienza di gestione aziendale, non avendo soldi sufficienti, venne il momento di accantonare il progetto.

  • Creare un’attività di produzione agricola di piccolissima scala nei pressi di Lugano, per poi vendere nei mercati agricoli prodotti di qualità

Quest’idea nacque da alcuni colloqui con altri produttori e da ricerche di mercato svolte sul campo andando a raccogliere testimonianze dalle persone che frequentavano il mercatino agricolo di Lugano.

L’idea era partire con la gestione di terreni altrui per avviare una produzione in maniera cooperativa tra proprietario (che mi avrebbe dovuto dare in gestione il terreno) e il sottoscritto.

C’era un terreno tra Lugano e Pregassona che sembrava abbandonato e presi contatti con dei vicini che erano entusiasti dell’idea, ma il problema era la mancanza di competenze.

Non potevo certo contare sulle mie (poche) esperienze e conoscenze teoriche, né avevo vita facile nel conciliare questo progetto con la vita familiare dell’epoca.

Quindi anche questa idea finì.

  • partecipare ad un progetto imprenditoriale comune

Andai a fare visita a tre realtà agricolo-turistiche in Piemonte, Lombardia (Vicino Bergamo) e la terza nei pressi di Vicenza.

Rimasi ospite in tutti i casi per qualche giorno, per conoscere il progetto, il proprietario, la realtà lavorativa e le condizioni di partecipazione.

Non funzionando nessuna di queste idee (chiedevano troppi soldi per partecipare, qualche decina di migliaia di euro gli sembrava del tutto insufficiente) ho cercato altro e ho scoperto che in Lombardia-Veneto sono bravi a vendere prodotti benefici per la salute a base di una medicina universale poco conosciuta: l’ulivo.

  • Diventare venditore free-lance

Ho lavorato come venditore autorizzato di Olife per un periodo, scoprendo che era richiesto un impegno economico non indifferente per le mie tasche per entrare nel business come partner.

La rete di conoscenze che avevo non sono state sufficienti a far decollare l’attività.

Per tirarmi su ho pensato: vendere non è mai stata la mia vocazione.

Il materiale promozionale giace ancora lì, in un angolo della stanza.

 

Anni recenti

Ho cambiato nel frattempo residenza varie volte, sono andato a vivere in situazioni via via meno stabili, ma nel frattempo ho concretizzato qualcosa dal punto di vista della formazione extracurricolare.

Ho preso l’abilitazione ufficiale di guida turistica nazionale in Italia, ragion per cui ho visto come aperta la porta della start-up in questo campo: mi serviva solo capire come girava questo mercato e buttarmici dentro.

Nel frattempo ho preso anche l’abilitazione come conducente NCC di autovetture per trasporto turistico.

Mi sono concentrato dapprima nella presenza online della mia figura di guida turistica.

La mia formazione nei tempi morti continuava. Ho acquisito conoscenze di SEO per costruire e posizionare al meglio il sito web. Ho acquisito conoscenze linguistiche, prendendo una certificazione di livello C1 in Spagnolo e investendo in un corso annuale di Francese.

Fare la guida turistica

La prima botta nel nuovo mondo del turismo è stata che le agenzie turistiche per cui avevo cominciato a lavorare erano abituate ad uno sfruttamento selvaggio delle guide. Ciò è figlio in Italia della mancanza di una struttura sindacale e di categoria per le guide.

E’ un paradosso, in un Paese che si regge sul turismo, ma questa è la reale situazione.

L’ho scoperto sporcandomi le mani in prima persona.

Ho dovuto quindi abbandonare alcune agenzie per ché troppo spietate e dedicarmi a creare il prima possibile un canale di contatto diretto con i clienti.

Facile a dirsi: non sapevo da dove cominciare.

Altra sorpresa: appena ho messo online il sito, invece di accogliere positivamente i feedback eccellenti che stavo ricevendo dai clienti, le agenzie mi hanno subito scartato per, a loro dire, il problema del “conflitto di interessi”.

E’ da ridere: il mercato delle agenzie è vero che è pressappoco sovrapponibile con quello delle guide turistiche, ma è ovvio che sia così. Le guide lavorano anche con le agenzie di tanto in tanto, ma lo fanno rispettando un codice deontologico che prevede sempre di pubblicizzare il brand del datore di lavoro e non proprio.

D’altra parte vi immaginate un professionista che una volta accettato un incarico ed ultimato un lavoro per un cliente, viene rifiutato da tutti gli altri clienti sulla piazza perché timorosi dello spionaggio industriale? E’ proprio per questo che il lavoro è regolamentato e controllato da leggi apposite.

La logica che ingenuamente mi aspettavo trainasse il settore era: la torta è grande, ce n’è per tutti. Invece no. Nella pratica, a Firenze, funziona diversamente. Sorpresa, Emmanuele, sorpresa.

Le agenzie di Firenze mi hanno risposto che volevano evitare di lavorare con guide che avevano contemporaneamente da promuovere un “proprio lavoro”.

L’ambiente tanto chiuso mentalmente mi ha reso la vita ancora più difficile perché da quel momento ho potuto contare “solo” sul lavoro procacciato per conto mio, ho dovuto in pratica chiudere con le agenzie, il che per una persona appena entrata in quell’ambiente lavorativo significa: niente guadagno per i primi anni.

Come trovare i soldi per vivere ,allora?

Intanto avevo fatto un numero di corsi di pittura e disegno sufficienti per avere le basi, avevo costruito l’attività di artista indipendente online, per lo meno, pensavo, ero presente con un sito e sui social. Era un inizio.

Arte?

Avevo prodotto delle opere che ritenevo accettabili e così partecipando a delle selezioni e concorsi, ero stato selezionato. Una bella soddisfazione.

Anche qui il mondo dell’arte mi si apriva piano piano e capivo ora quali e quante spese e mi si presentavano annualmente e, soprattutto, su quanti guadagni potevo contare con la vendita di opere d’arte: troppo pochi. Quasi zero.

Ho veduto in youtube una opportunità per avere più visibilità e, in un secondo momento, essere visto e raggiunto da più clienti.

Da allora ho prodotto e fatto produrre video per presentare l’attività di guida turistica.

Il paradosso sta nel fatto che inizialmente si dovrebbe avere dei clienti per poter avere dei clienti.

Cioè: si dovrebbe lavorare con dei clienti per poter creare materiale video mentre si lavora, documentandolo in maniera attraente in modo da usare questo portfolio come pubblicità da pubblicare sul sito.

Quelli che meglio di tutti riescono in questo, più bravi di me, fanno “diventare se stessi un brand”.

Produrre video permetterebbe sia di

– pubblicizzare il prodotto da vendere,

– sia di farlo pubblicizzare gratis da chi già mi ha conosciuto ed è rimasto soddisfatto, secondo un effetto esponenziale di passaparola,

– sia di propormi come insegnante di tecnica di pittura, quindi non solo arrivare al mercato degli acquirenti di opere d’arte, ma anche a coloro che aspirano a diventare loro stessi artisti.

In questi anni sono migrato, senza rendermene conto, da un’idea di lavoro da trovare, verso un’idea di lavoro da inventare. Infatti poco a poco le mie idee imprenditoriali andavano a incanalarsi sempre più spesso nella forma:

learn → show → teach

Cioè:

LEARN – segui dei corsi, prendi un titolo, una qualifica, insomma impara un mestiere

SHOW – fallo vedere al mondo, mostra le opere che crei, mostrati mentre svolgi un tour, mentre fai il tuo lavoro. Promuoviti.

TEACH – proponiti come tutor per coloro che aspirano a fare lo stesso. Creati, cioè, dei clienti stabili.

Come potete leggere sopra, senza accorgermene sono entrato nella logica di mercato di oggi.

Questo modello, come tutti quelli nati negli ultimi 80 anni negli Stati Uniti, coinvolge e rivoluziona il mondo del lavoro di altre culture. Più che rendere liberi e creare opportunità (?), rende la vita sempre più complessa a chi cerca di sopravvivere. Impone ritmi e richiede risorse talvolta difficili da reperire.

Perché una cosa è applicare il flusso L-S-T al tipo di cultura tipica degli States, un’altra cosa è applicarla all’Italia.

Non funziona allo stesso modo.

Senza rendermene conto sono piano piano migrato all’idea che i miei datori di lavoro dovrebbero essere grandi aziende della comunicazione digitale (Youtube, TripAdvisor, Google, Apple, Linkedin, Facebook, WordPress) che anziché pagare loro me, inizialmente si fanno pagare da me.

Questo fino a che il mio brand non sale ad un livello di notorietà che permette di essere ambito da un pubblico sufficientemente vasto, da quel momento in poi io riceverei da loro i soldi per ospitare pubblicità.

Quindi esiste un punto critico: se non sono abbastanza famoso nei social il mio brand vale poco, se invece le mie “azioni” salgono di valore, allora le grandi aziende digitali mi considerano attraente e, finalmente, potrei vedere il colore di qualche soldino. Sempre che non muoio di fame prima.

Rimangono altre alternative, una di queste è la partecipazione in Italia al vecchio concorso pubblico, insieme ad altri 100 mila disoccupati, per ottenere il posto fisso.

Andare all’estero: la cura per tutti i mali

Andare all’estero per cercare nuove opportunità?

Prima considerazione:

All’estero le cose non funzionano in maniera totalmente differente, siamo tutti nella stessa barca.

Si presentano le difficoltà non tanto linguistiche, ma logistiche ed economiche.

Sarei, inizialmente, in svantaggio, cercando affannosamente di guadagnarmi un posto. E’ possibile, certo, però occorre tempo.

Non perdo la speranza. Come diceva Gramsci: La ragione è pessimista, la volontà è ottimista. Vado avanti, finché ho benzina.

Ciau

Riferimenti

L’attività artistica sta qui https://emmanuelecammarano.com

L’attività di guida turistica sta qui https://landmarksinflorence.it

L’attività di ingegneria sta qui https://www.linkedin.com/in/emmanuele-cammarano-engineer/